Facebook e lo scandalo Cambridge Analytica: quei dati che vi hanno rubato non erano solo cazzate

Mi lascia davvero sgomento la notizia che qualcuno potesse usare Facebook per farsi i cazzi degli altri”, twittava spinoza.it nei giorni scorsi in una battuta diventata virale.
Lo scandalo Cambridge Analytica, la più grande ed insidiosa grana mai scoppiata per Facebook nella sua intera storia, non sembra aver smosso una particolare indignazione nell’opinione pubblica più vasta, al di là degli addetti ai lavori e del mondo politico. Al più ha smosso un po’ di ironia. Il grosso degli utenti sono per lo più indifferenti a cosa succede ai loro dati, mentre gli utenti un po’ più scafati ed informati reagiscono appunto alla spinoza.it: ma davvero pensavate che non facessero analisi sui vostri profili?
Un post emblematico, anch’esso divertente e diventato subito virale, scritto da Azael su Medium, parla espressamente delle “cazzate che vi hanno rubato“: “I vostri dati personali sono una montagna di merda, composta per lo più da citazioni con refusi di Fabio Volvo e foto di voi che mangiate il sushi a Pavia. I vostri dati personali non contano un santissimo cazzo. Voi non contate un cazzo. Non avete nulla da proteggere, e dovreste preoccuparvi di una sola cosa: informarvi, studiare, cercare di capire qualcosa prima di scegliere se votare per un imbecille.
In sintesi, la riproposizione in salsa social di un vecchio luogo comune già usato in passato per la televisione, la radio e gli altri media: ovvero non è il mezzo il problema, ma è come lo usi. Se studi un po’ di più e sviluppi senso critico e strumenti cognitivi che ti permettono di interpretare i messaggi, non c’è TV, radio o social che possa influenzarti. Se questo pensiero era più o meno discutibile e con una qualche valenza applicato alle radio o alle televisioni, rasenta secondo noi il grottesco se riproposto per Facebook.
 
Insomma, detto senza offesa, noi crediamo che questa lettura cinica e sminuente di quello che sta accadendo sia davvero superficiale, e sia in effetti anche peggiore dell’indifferenza con cui (non) ha reagito gran parte del popolo social. Per due motivi, uno molto specifico legato alla vicenda Cambridge Analytica in particolare, e l’altro invece di carattere ben più generale.

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Umani, robot, algoritmi.. tenetevi pronti

Uno dei dibattiti più accesi degli ultimi tempi riguarda il reddito di base  (Universal Basic Income), un tema che deriva direttamente dalla tendenza all’automazione del lavoro ed è legato a doppio filo con le recenti innovazioni tecnologiche e l’affermarsi dei nuovi colossi dell’industria dell’informazione. A dimostrare quanto l’argomento sia ‘caldo’, basta dire che i giganti della Silicon Valley sono tra i promotori di questa iniziativa; in Italia il Movimento 5 stelle ne ha formulato una versione nota come ‘reddito di cittadinanza’ e in Francia il candidato del Partito Socialista ha egemonizzato il dibattito delle presidenziali con questo tema. Poiché in stretto contatto con l’evoluzione tecnologica e con il mondo delle piattaforme digitali (‘platform capitalism’) all’interno del gruppo Libertà Digitale è in corso da qualche tempo una discussione su tale argomento; per questo, nelle prossime settimane, condivideremo articoli, video e contenuti che toccano e approfondiscono questo tema.

Per iniziare, un video introduttivo che spiega in maniera semplice come e cosa l’innovazione nel mondo del lavoro sta cambiando

Il lavoro fantasma – lo sfruttamento al tempo della gig economy

L’entusiasmo, l’ammirazione e l’attenzione crescente verso le “macchine che autoapprendono” e l’automazione del lavoro in generale ci sta rapidamente portando verso scenari in cui il lavoro umano sembra destinato a scomparire, e a perdere il suo valore, quasi invisibile di fronte agli algoritmi automatici, all’acquisto di merci e servizi online e alle numerose attività in cui ci interfacciamo ormai con delle macchine. Ad alimentare questa tendenza sono i poderosi sviluppi dell’intelligenza artificiale, le formidabili previsioni sull’automazione del lavoro e il linguaggio con cui abitualmente ci riferiamo alle infrastrutture e tecnologie digitali (“l’internet” o “l’algoritmo”), quasi fossero forze autonome e spontanee.

Ma stiamo davvero assistendo alla scomparsa del lavoro?

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E se non fossero le bufale il problema più grosso?

Donald Trump eletto Presidente degli Stati Uniti, e Regno Unito fuori dall’Unione Europea. Nell’anno di questi due eventi shock nel panorama politico internazionale, e della “post-verità” eletta a parola dell’anno, il fenomeno delle bufale in rete ha catalizzato moltissima attenzione. Molti commentatori ed analisti le hanno ritenute un fattore determinante nella deriva emotiva o populista assunta da larghe fasce di elettorato. BuzzFeed, ad esempio, ha raccontato con un dettagliato reportage la fabbrica di notizie false pro-Trump proveniente da siti dell’Est-Europa, che ha scatenato un vivo dibattito negli USA nei confronti di Facebook e Google in particolare, colpevoli di non limitare adeguatamente le bufale e di aver quindi in qualche modo facilitato la vittoria del candidato repubblicano.

In Italia il tema ha avuto la sua forte eco: il presidente dell’antitrust Pitruzzella è intervenuto sul Financial Times, sostenendo la necessità di un’autorità europea che controlli le bufale online, e provveda a rimuoverle e a sanzionarne gli autori. La Presidente della Camera Laura Boldrini ha lanciato un appello contro le bufale, firmato e sostenuto da numerosi personaggi famosi. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando si è accodato alla richiesta di controllo sulle “post-verità” da parte delle piattaforme social. C’è persino una proposta di legge attualmente presentata al Senato allo scopo di combattere le “fake news”.

Il tema è indubbiamente serio: diffondere bufale sfruttando i meccanismi virali dei social, e la disattenzione (o peggio la voglia di leggere cose che appaghino e confermino le nostre aspettative e frustrazioni, anche se non sono vere) di larga parte degli utenti è facile come mai lo era stato prima. E con le bufale si possono montare campagne di odio, rovinare vite, forse anche influenzare le elezioni, anche se ancora non c’è a tal proposito alcuna prova.

Ma davvero è questo il principale pericolo per “il futuro della nostra democrazia”, per citare Orlando, che viene dal mondo digitale, a cui dedicare così tanta attenzione e tante energie? Leggi tutto “E se non fossero le bufale il problema più grosso?”

How to: Un gruppo ISF sulla Libertà… nell’Era del Digitale

Nella rete di ISF Italia sono diversi i gruppi che si formano per realizzare un progetto pratico o seguire campagne o movimenti. Ma ci sono anche gruppi che nascono intorno ad una tematica, facendo dell’approfondimento il trampolino di lancio verso un attivismo consapevole.
A volte un gruppo nasce in seno ad un’associazione ISF “locale” e poi riesce ad attirare più realtà associative, fuori e dentro la rete di ISF Italia, a livello nazionale e internazionale.
Ci sono poi gruppi che nascono dallo stimolo di singoli soggetti vicini all’associazione o di singoli soci ISF.
E magari questo stimolo risulta efficace ed è tale da trascinare più persone all’interno della rete ISF Italia, ad esempio attraverso la proposta di attività con le quali coinvolgere i partecipanti del Week end Nazionale di Ingegneria Senza Frontiere Italia (evento solitamente di tre giorni organizzato ogni anno dalla rete ISF in una diversa città italiana, aperto a tutti gli interessati e assolutamente imperdibile).
Ecco, proprio così è nato il gruppo “Libertà Digitale.
Lo stimolo, lanciato da uno dei nostri soci, esprimeva un bisogno di maggiore comprensione ed analisi critica sull’uso dei social network e delle piattaforme digitali: per accedere gratuitamente ad un servizio, che cosa danno in cambio i singoli utenti? In cosa consiste questo baratto inconsapevole di dati, informazioni personali, preferenze? I singoli utenti sembrano apparentemente liberi di poter modellare il proprio bacino virtuale. Invece esistono infrastrutture digitali ed algoritmi che fanno il contrario, e allora sono gli input che raccogliamo dalla rete e dalle piattaforme social ad essere in grado di influenzare il nostro umore ed il nostro pensiero.
A partire da questi stimoli, un piccolo gruppo di volontari curiosi ha iniziato ad approfondire una serie di argomenti direttamente riconducibili all’impatto che queste tecnologie hanno nei diversi ambiti della vita reale
Tra gli obiettivi vi è quello di capire chi detta le regole del gioco e quali sono. Quelle vere, quelle socio-politiche. Non quelle tecnico-informatiche, come molti potrebbero aspettarsi da un gruppo di ingegneri e studenti/esse di Ingegneria. 🙂

Liberi e Digitali: un nuovo blog di Ingegneria Senza Frontiere

Cercare un idraulico o un ristorante. Tenersi in contatto con gli amici lontani. Commentare l’evoluzione della situazione politica. Informarsi e farsi un’idea di cosa succede nel mondo. Cercare una persona interessante da corteggiare. Cercare un lavoro. Gestire la propria posta. Decidere dove uscire stasera con gli amici.
Queste sono solo alcune delle cose che oggi tutti facciamo in modo molto diverso rispetto ad appena dieci anni fa. E che ora affidiamo, in modo quasi totale, non alla rete Internet in senso generico, ma ad alcune grandi piattaforme digitali che nella rete si sono imposte assumendo carattere di veri e propri monopoli: Google, Facebook, Twitter, Whatsapp, Uber, AirBnB ecc.
Quali sono le ripercussioni di questi nuovi monopoli, delle loro logiche e dei loro obiettivi sulle nostre vite, la nostra socialità, le nostre comunità? Leggi tutto “Liberi e Digitali: un nuovo blog di Ingegneria Senza Frontiere”